Cosa intendiamo per “ascoltare”?

Come ogni verbo, anche questa parola indica un’azione che un soggetto compie o subisce; ma di quale azione si tratta? Stiamo parlando semplicemente di udire, di sentire attraverso le nostre orecchie i suoni che il nostro interlocutore produce? Oppure questo non basta per descrivere l’ascolto?

Un professionista delle relazioni d’aiuto passa ore ad ascoltare i propri pazienti, poiché sa quanto l’ascolto sia importante per loro e soprattutto sa che sentire NON equivale ad ascoltare o a stare in silenzio. L’ascolto è infatti un processo attivo che consiste nell’udire attentamente qualcuno, ovvero nel prestare attenzione all’interlocutore. Esso corrisponde dunque ad un atto volontario grazie al quale si decide di ascoltare l’altro e di provare a comprendere il suo messaggio, le sue motivazioni, il suo stato d’animo.
Pertanto, l’ascolto non è mai un processo semplice o scontato! Al contrario, è un’azione complessa e impegnativa che necessita della capacità di comprendere una prospettiva diversa dalla propria, di considerare le caratteristiche dell’Altro, di tenerne presente e rispettarne la diversità e le peculiarità.

 

Come fare a “ben ascoltare”?

  1. Mettere da parte i propri bisogni personali (es.: il bisogno di farsi valere, di avere ragione, di squalificare o di prendere il posto della persona che parla, di esibire il proprio sapere, di difendersi, di attaccare), prestare attenzione e nutrire interesse verso l’Altro e osservare il suo feedback;
  2. Gestire la tendenza a focalizzare l’attenzione su alcuni aspetti, a ignorarne altri e a ricostruire il messaggio secondo le proprie selezioni e distorsioni percettive;
  3. Sintonizzarsi sui modi e i tempi dell’Altro, rispettare il turno di parola, mostrare pazienza, ascoltare fino in fondo senza eccessive interruzioni, aggiunte, commenti, distrazioni, domande non pertinenti, giudizi e squalifiche;
  4. Concentrarsi sui contenuti: comprendere la prospettiva dell’interlocutore, ripetere con parole proprie, riformulare, chiedere la conferma di aver compreso;
  5. Esercitare intelligenza emotiva: rendersi conto dei legami tra quanto viene ascoltato e la propria risonanza emotive; entrare in empatia per percepire i sentimenti dell’altra persona.

 

Per farsi ascoltare è invece importante assicurarsi che i propri messaggi vengano recepiti. Per questo, è necessario attenzionare anche i seguenti fattori:

  1. Ambientali: controllare suoni o rumori, luminosità, temperatura, sistemazione fisica dell’ascoltatore;
  2. Contenutistici: curare l’essenzialità, efficacia informativa, incisività, concisione, perspicuità, novità, piacevolezza dei contenuti;
  3. Espositivi: curare espressioni vocali e gestuali, proprietà di linguaggio, scorrevolezza dell’eloquio, chiarezza, competenza e flessibilità linguistica.
  4. Tempo degli interventi: parlare quando l’altro è ricettivo, notare quando è il momento di modificare il tono o il linguaggio, di cambiare argomento, di passare il turno, di tacere.

Essere capaci di un “buon ascolto” è una competenza relazionale importante e dona diversi Vantaggi:

  • E’ molto utile per la crescita personale e professionale (es.: contribuisce ad essere dei bravi genitori, dei buoni figli ed è indispensabile a medici, manager, psicologi, addetti alle vendite, etc.).
  • Riduce le incomprensioni e contribuisce all’efficacia della comunicazione; le persone che comunicano efficacemente dedicano molto più tempo all’ascolto che a parlare: un buon comunicatore è soprattutto un buon ascoltatore!
  • Migliora la relazione (aiuta a rapportarsi meglio con gli altri), che diventa più gratificante in quanto si veicolano all’Altro accettazione, riconoscimento e interesse;
  • Permettere di raccogliere maggiori informazioni e apre la mente a nuove idee e arricchenti soluzioni.