L’empatia è la capacità di provare ciò che un’altra persona prova, comprendendone in modo immediato i pensieri e gli stati d’animo.

Il termine deriva dal greco em-patheia(ovvero “soffrire con”, “insieme”), che rimanda:

  • alla capacità sia emotiva, sia cognitiva (razionale) di mettersi nei panni dell’Altro, capirne i sentimenti, le motivazioni e i bisogni.
  • alla “consapevolezza dei pensieri e dei sentimenti di un’altra persona, capacità di vedere il mondo come questa lo vede e di operare nel quadro di una sensibilità alterocentrica” (Dalla Volta A., 1974).
  • alla “capacità di mettersi al posto di un Altro, di vedere il mondo come lo vede costui” (Rogers C.).

Si tratta dunque di una forma molto profonda di comprensione dell’Altro in cui il proprio modo di percepire la realtà è messo in secondo piano per cercare di sentire dentro di sé le esperienze e le percezioni dell’interlocutore. Per questo motivo, l’empatia è fondamentale per coltivare una buona relazione con l’Altro: essa aiuta ad avvicinarsi al prossimo e contribuisce alla capacità di ascolto e di comunicazione efficace. Grazie ad essa, si può partecipare nella maniera più intima e completa ai vissuti altrui, ma solo a patto di essere capaci di decentrarsi da sé. Al contrario, se una persona non riesce a decentrarsi dal proprio sistema di riferimento, difficilmente sarà in grado di provare empatia e di comprendere gli altri.

E’ utile anche sottolineare che l’empatia implica la capacità di mantenere una distanza emotiva dall’altro, di non lasciarsi invischiare dalla simpatia e di sfuggire al rischio di identificarsi con l’altro. Infatti, essa permette di percepire il mondo altrui ‘come se’ si fosse l’altra persona, senza però dimenticare che si tratta di esperienze e percezioni altrui (altrimenti non si tratta NON di empatia, ma di identificazione!) e restando del tutto indipendenti dall’altro. Come specifica inoltre Rogers, empatia e simpatia sono sentimenti simili in quanto rappresentano entrambi una risonanza con i sentimenti altrui; tuttavia, l’empatia differisce dalla simpatia poiché in essa l’individuo si sforza di partecipare all’esperienza altrui in toto, comprendendone sia gli aspetti razionali sia quelli emotivi.

 

L’empatia è stata approfondita soprattutto da Heinz Kohut.

Egli individua le sue radici nella capacità della madre di:
– sintonizzarsi sui bisogni e sugli stati emotivi del proprio piccolo;
– modularli;
– rispondervi in modo attenuato (piuttosto che totale e dagli effetti patologici, dovuti alla tendenza narcisistica della madre a vivere il figlio come estensione di sé).
Ciò darebbe al bambino la possibilità di vivere l’esperienza fondamentale (e promotrice di salute!) di calmarsi e di sentirsi compreso in un contesto sicuro, ma soprattutto in futuro di provare egli stesso tale empatia verso gli altri.

Kohut ritiene l’empatia il metodo principe per la raccolta-dati in psicoanalisi e per entrare in un profondo e caldo contatto col paziente.

Ogni psicoterapeuta deve essere in grado di comprensione empatica, ma anche di prestare attenzione al bisogno di empatia del proprio paziente, comunicandogli così che coglie ciò che sente e, ad esempio, che ha diritto di provare certi sentimenti e che il suo comportamento è comprensibile a partire dalla sua storia di vita.

Un lavoro psicologico privo di empatia rischia di essere freddo, sterile e distanziante, incapace di creare quell’alleanza che è il principale fattore di cura operante tra paziente e terapeuta.

 

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BIBLIOGRAFIA

Dalla Volta A., (1974), Dizionario di Psicologia, Giunti Barbera, Firenze
Kohut H. (1959), Introspezione, empatia e psicoanalisi: indagine sul rapporto tra modalità di osservazione e teoria, in Id., La ricerca di sé, Boringhieri, Torino, 1982
Rogers, C. R. (2000), La terapia centrata sul cliente, Psycho, Firenze.