Mettersi in gioco, ci vuole coraggio!

“Mettiti in gioco!”, “Bisogna mettersi in gioco!”. Quante volte ce lo siamo sentiti ripetere?

Per te che… “Come ti è saltato in mente? […]
In tempi di scorciatoie, di psicoterapie prêt-à-poter o usa-e-getta, di personal coach o trainer digitali o via fax, che non sai se sia più virtuale il terapeuta o il paziente (probabilmente lo sono alla pari), di video o cyber-guru, di Guide Autorizzate per Escursioni sui Carboni Ardenti, hai preferito – o almeno così mi piace supporre – imboccare la via maestra della Psicologia Dinamica” (Carotenuto A., 1998).

Uno psicoterapeuta sa che mettersi in gioco non è semplice! Il coraggio di chi fa questa scelta merita di essere accolto e valorizzato (: Personalmente, stimo moltissimo chi decide di intraprendere quel viaggio rivoluzionario di nome “cura”.

Ma cosa significano parole come “cura” o “prendersi cura di Sé”?

Nel tempo, la farmacologia si è concentrata sulla cura come semplice remissione dei sintomi; la faccenda funziona in questo caso come una gamba rotta: la rimettiamo diritta con metodi ortopedici (gessi, stecche), proprio come le gambe degli altri: standard, normale, simile a quella di chiunque. La gamba torna così in breve tempo a posto, ovvero allo stato antecedente alla rottura, con buona pace di tutti. Ma la mente, purtroppo o per fortuna, non funziona affatto come una gamba! Le sue rotture sono segno di una sofferenza che va attenzionata attraverso metodi psicologici.

Questo nuovo modo di concepire la cura venne inaugurato a fine ‘800 da Freud, che fonda un trattamento basato sulla relazione tra paziente e terapeuta; in particolare, lo strumento privilegiato della psicoanalisi era (ed è) la parola: attraverso ciò che essa veicola, diviene possibile una nuova modalità di cura! Da quel momento in poi, le idee di cura e di guarigione si sganciano dall’ideale medico della riparazione della rottura psichica come ritorno ad una pretesa normalità ( = la gamba dritta, che è diritta uguale sia in Tizio, che in Caio, che in Sempronio!)…per abbracciare l’idea della cura come conquista della soggettività individuale.

  • Se dunque nella prassi medica guarire significa ripristinare uno stato standard di salute e far tornare l’organismo nelle condizioni precedenti all’insorgenza della malattia…
  • …Nel campo psicologico, “cura“ non è solo guarigione dal sintomo e “guarire” non significa eliminare ogni difficoltà. Come afferma anche l’O.M.S., non esiste infatti uno stato di salute come assenza di conflitti e di sofferenze. Il “prendersi cura di sé” non passa per la prescrizione di farmaci, ma per un dialogo, uno scambio unico che nasce dall’irripetibile relazione umana che si crea tra paziente e terapeuta.

La cura in prospettiva gruppoanalitica

Nella prospettiva gruppoanalitica (quella che abbraccio), la cura e la salute corrispondono alla conquista della capacità di essere creativi, piuttosto che riproduttori di copioni già decisi da altri. “Amare e lavorare”, scriveva Freud, e in generale mantenere aperte e attive le proprie possibilità di stare nel mondo e di sperimentare il mondo.
Come d’altronde ho già scritto nel presentarmi, non solo etimologicamente, ma anche simbolicamente, nella mente di ogni psicoterapeuta la parola “cura” contiene la parola “cuore” poiché ha a che fare con un prendersi carico attento e affettivo del paziente; racchiude anche significati relativi alla sollecitudine, alla fatica e alla diligenza; indica inoltre un atteggiamento rivolto prevalentemente alle cose sacre, importanti. Grazie a questo tipo di relazione accogliente, è gradualmente possibile individuare la causa profonda che ha generato la sofferenza psichica, valorizzare e potenziare le parti sane del paziente e accedere a poco a poco a dei cambiaMenti.

mettersi in gioco

Come professionista della cura, io credo moltissimo in questo! Concepisco lo spazio terapeutico come un luogo protetto in cui mettersi in gioco, nascere e rinascere; e ritengo che, nonostante le sofferenze familiari, personali, radicate nella nostra storia e nella nostra comunità, nonostante i tentativi falliti, nonostante la grande fatica, nonostante le lacrime e gli sconforti, nonostante i pesi e la sensazione che manchino le forze, nonostante possiamo aver toccato il fondo più e più volte…
…Nonostante tutto, possiamo sempre aprire le porte delle nostre gabbie interiori e autorizzarci a una trasformAzione: quella che permetterà di volare più in alto, come una piuma che va, libera nel proprio vento… e che dice che da qualche parte esistono nuovi spazi di libertà: i nostri!

 

____

BIBLIOGRAFIA

Carotenuto A. (1998), Lettera aperta a un apprendista stregone, Bompiani, Milano
Lo Coco G., Lo Verso G. (2006), La cura relazionale, Cortina, Milano.