Ogni adolescenza coincide con la guerra che sia falsa, che sia vera
Ogni adolescenza coincide con la guerra che sia vinta, che sia persa
(Tre allegri ragazzi morti).
Il momento adolescenziale costituisce uno snodo verso la dimensione adulta. Come esprime l’origine della parola (da “adolescere”, crescere, e da “alĕre”, nutrire), l’adolescenza è un periodo di grande variabilità, mobilità, fluidità. E’ un momento in cui il confluire del biologico, dello psichico e del sociale impongono al giovane un transito maturativo dal paradiso degli amori infantili, dove non occorre scegliere e rinunciare alla megalomania, all’età adulta; su di esso graveranno la storia dei genitori e la loro cultura sociale.
In quest’ottica, l’adolescenza non è solo un’età della vita; essa è un’esperienza i cui effetti vanno al di là della prima giovinezza.
E’ infatti il punto da cui può strutturarsi la patologia, ma anche la possibilità che il soggetto si organizzi per approdare funzionalmente all’età adulta.
Negli anni dell’adolescenza, il cambiamento fisico è rapido, sconvolgente e appariscente: il giovane nota ogni giorno nuovi segnali del suo divenire un individuo adulto. Ma per divenire davvero adulto, l’adolescente deve assolvere a complessi compiti di sviluppo:
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deve raggiungere gradualmente l’indipendenza dai genitori;
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accettare i cambiamenti tumultuosi del proprio corpo e adattarsi alla maturazione sessuale;
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stabilire buoni rapporti di collaborazione tra i coetanei;
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elaborare una propria filosofia di vita e un senso di identità personale.
Pertanto, l’adolescenza è anche un periodo di lutto per l’infanzia ed una seconda fase di separazione-individuazione dai genitori, le cui metamorfosi possono anche essere traumatiche. La pubertà crea infatti uno sconvolgimento dei punti di riferimento e del modo di pensare e conoscere il mondo.
La strada che l’adolescente dovrà percorrere prevede un transito dall’area familiare agli spazi esterni. Il lavoro dell’adolescenza procede infatti attraverso continue articolazioni tra passato e presente, dentro e fuori, vecchie e nuove identificazioni, permanenza e cambiamento. Meltzer lo descrive come il partecipare dell’adolescente, al tempo stesso, a 4 diverse comunità separate:
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comunità dei pari;
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comunità degli adulti;
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famiglia e suo essere bambino;
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isolamento (megalomania e onnipotenza).
In quest’ottica, un adolescente non è realmente ancorato in nessun posto (Meltzer); è in continuo movimento tra le diverse comunità perché il processo di crescita gli procura tanto dolore che egli può tollerarlo solo per un po’.
In questo viaggio, l’adolescente ricerca il sostegno degli adulti, ha come compagno il piccolo gruppo e come equipaggiamento il suo corpo.
Attraverso il suo nuovo corpo, egli può visualizzare la misura del suo progressivo cambiamento e dimostrare ciò che è in grado di fare; ma deve imparare a gestire la propria trasformazione e le proprie fantasie aggressive e distruttive. Di fronte allo scompiglio interno ed esterno, alle regressioni, alla confusione, ha perciò bisogno di adulti competenti che lo aiutino a riorganizzare il proprio mondo interno. L’adolescente si rivolge così allo sguardo dei suoi caregivers per scorgere l’effetto dell’impresa che sta compiendo; inoltre, ha bisogno di essere ammirato mentre si allontana.
Se la distanza tra il familiare e l’estraneo è avvertita come incolmabile, egli può mettere a rischio la nascita della propria identità. Per questo e per molti altri motivi, l’adolescenza di un figlio è un passaggio evolutivo critico per tutta la famiglia.
OGGI
L’adolescente di oggi incontra maggiori difficoltà nel processo di identificazione poiché privato di punti di riferimento stabili e flessibili: rituali di iniziazione socio-culturali, credenze condivise dai gruppi di riferimento, stabilità familiare.
Non a caso, nei nostri studi arrivano sempre più spesso giovani pazienti con disturbi comportamentali e personologici profondi. In queste patologie, la strategia difensiva consiste nello spostare all’esterno e, quindi sul sintomo, le esigenze interne, stabilendo, quindi, relazioni con oggetti sostitutivi più controllabili e garantendosi così un equilibrio psichico. L’effetto finale sarà un sintomo, ad es.:
- comportamenti difensivi che vanno verso la noia, l’indifferenza, l’anestesia emozionale;
- il ritiro su di sé (si parla sempre più spesso oggi di Hikikomori) o su oggetti sostitutivi facilmente padroneggiabili (droghe, cibo, corpo, agiti e varie altre anomalie della condotta).
In questi casi, il sintomo acquista un potere organizzatore sulla personalità e diviene il condensato attorno al quale l’individuo crea le sue relazioni e la sua interiorità, impoverendole.
Il caso di Gaia
Gaia (nome di fantasia) arriva in studio coi genitori e con una lunga lista di sintomi. E’ esile eprorompente allo stesso tempo, con delle forme che dominano lo spazio e, dice, ingombrano la mente. Non ha mai accettato il suo corpo come non lo hanno accettato gli altri; in effetti, è bullizzata fin dalla prima pubertà per via di una sviluppo fisico stupefacente, cui si accompagnava invece una grande ingenuità. La sua insicurezza di base si è trasformata nel tempo in sintomi somatici (deperimento, depressione immunitaria, etc.) e in paura a causa di contesti scolastici iper(s)valutanti e aggressivi, accompagnati da relazioni intime a tratti abusanti. Mentre gli adulti di riferimento erano impegnati nelle loro vicende personali (malattie, lutti, workaholisme), Gaia si dimenava come poteva in mezzo a tutto questo, arrivando ai 20 anni con sintomi ansiosi, ritiro relazionale e necessità di controllo che permeano la sua vita. E’ estremamente intellettualizzante, iper-adultizzata, curante verso gli altri, con uno spiccato desiderio di giustizia e di etica che sfoga sui social. Ma è anche fragile, sola, atterrita da ogni cambiamento. Come potrebbe crescere e diventare la giovane donna dotata che intravedo in lei, se restasse prigioniera dei suoi malesseri?
Questi sintomi vanno ascoltati e ben attenzionati. Il desiderio di vivere che anima la parte sana di Gaia la porta in terapia e a spoilerare a poco a poco le proprie difficoltà. Insieme, possiamo lentamente vedere come i suoi sintomi siano preziose comunicazioni che nascondono ciò che lei non può accettare, i suoi conflitti interni, le sue debolezze, le sue paure, le difficoltà che ha con le sue figure fondamentali.
In questi casi, è necessario ripercorrere a ritroso la strada che collega i sintomi ai conflitti interiori con la guida di un adulto di riferimento; e ciò al fine di aiutare l’adolescente a sviluppare la capacità di gestire il suo nuovo Sé senza averne una paura schiacciante. Per farlo, egli ha bisogno di adulti in grado di sostenerlo e per aiutarlo a coltivare autonomamente la sua nascente soggettività!
Dobbiamo essere una base sicura da cui il paziente possa esplorare i diversi aspetti infelici e dolorosi della sua vita, molti dei quali trova impossibile riconsiderare senza un compagno di cui abbia fiducia e che gli fornisca sostegno, incoraggiamento, comprensione e che, nel caso, faccia da guida. (J. Bowlby).