A chi non è capitato di avere a che fare con persone che si definiscono “il più grande esperto di una roba ics”? Che si auto-elogiano continuamente, che dimenticano di chiederti come stai e che parlano instancabilmente solo di se stessi? O che si descrivono come eroi e che si comportano come se tutto il mondo girasse intorno a loro? E ancora, che hanno continue pretese e giustificano ogni loro sbaglio? O che puniscono sottilmente ogni volta in cui non vengono accontentati?
Non si tratta di mostri, no. Sono semmai comportamenti oggi molto diffusi!
Molti Autori parlano non a caso di “era del narcisismo” riferendosi all’attuale società occidentale, in cui le personalità e i comportamenti narcisistici sono in crescente espansione (pensiamo ai selfie, alla vanità, alla competizione, all’individualismo, all’egoismo imperante,…).
Ma di preciso, quando usiamo la parola “narcisismo” di cosa stiamo parlando?
Come dice il mito greco, la storia di (ogni) Narciso è quella di chi nutre un amore smisurato per se stesso. I narcisisti sono infatti soggetti con una sproporzionata preoccupazione per sé e per la propria immagine, ovvero per quella che Jung definiva la “persona” (l’apparenza inautentica che si mostra al mondo), che prende qui il posto dell’“eidos”, dell’essenza più autentica dell’essere umano. Quando i tratti narcisistici diventano estremi, si parla di “Disturbo narcisistico di personalità”, caratterizzato, secondo il D.S.M., da un persistente complesso di superiorità, organizzato intorno al mantenimento dell’autostima tramite conferme provenienti dall’esterno. Esso presenta almeno tre elementi tipici:
- grandiosità irrealistica;
- desiderio di essere ammirati;
- mancanza di empatia.
Secondo la letteratura clinica, questo tipo di personalità si sviluppa un clima familiare di continua valutazione (di per sé nociva per lo sviluppo di un’autostima realistica) nei confronti di un bambino costituzionalmente più sensibile di altri ai messaggi subliminali: questo piccolo percepirebbe qualsivoglia affetto, atteggiamento, aspettativa e giudizio, anche quelli non dichiarati.
Inoltre, questi bambini sarebbero spesso vissuti dai genitori come individui-funzione necessari a sostenere l’autostima degli adulti; questo significa che avrebbero un’importanza centrale per i loro caregiver per la funzione che svolgono per loro, piuttosto che per ciò che realmente sono! Ne consegue che il bambino è amato e apprezzato solo in relazione al ruolo che svolge e al suo grado di cooperazione con gli obiettivi del genitore. Come dice Nancy McWilliams, ciò porta allo sviluppo NON di un Sé autentico, ma di un “Falso Sé”, di una identità basata su aspetti socialmente desiderabili.
In realtà, come esprime il quadro di Dalì “La metamorfosi di Narciso”, in ogni narcisista vive un doppio:
- Da un un lato, il loro Vero Sé, insicuro e vulnerabile, il loro mondo interno è povero, abitato da un senso di vuoto e da una costante paura di perdere l’autostima. Nella relazione più “intima” con se stessi, queste persone provano sentimenti di incompletezza, vergogna, terrore dell’inadeguatezza, invidia, debolezza, inferiorità e scarsa autostima. Si percepiscono inconsciamente deboli, brutti, impotenti ed hanno timore di essere scoperti nelle proprie mancanze e di essere svergognati e ridicolizzati.
- Dall’altro lato, un Falso Sé usato inconsciamente per difendersi dai suddetti vissuti con atteggiamenti opposti: ipocrisia, orgoglio, disprezzo, vanità e superiorità, svalutazione verso i soggetti invidiati e idealizzazione verso quelli che li soddisfano. Il narcisista mostra al mondo un Sé perfetto, che Kohut ha definito “grandioso” per sottolineare il senso di ingigantimento e superiorità che li caratterizza. Otto Kernberg condusse un noto studio su narcisisti ricoverati e dedusse che hanno un Sé avido, pretenzioso e patologico, caratterizzato da esibizionismo, distacco, inaccessibilità emotiva, fantasie di onnipotenza e tendenza a giudicare aggressivamente gli altri. Jones parla addirittura di “Complesso di Dio”.
Tuttavia, per mantenere un senso di validità, i narcisisti hanno bisogno di continue conferme esterne!
Il loro bisogno dell’altro è quindi profondissimo, ma superficiale: c’è un’estrema necessità di usare gli altri come oggetti da manipolare per i propri scopi, e principalmente per ottenere ammirazione e approvazione. Per questo, si legano a soggetti fragili e dipendenti che tendono a controllare e su cui esercitano il proprio potere (spesso anche sadico). A ciò si accompagna una scarsa capacità empatica, che li rende refrattari ad identificarsi con il prossimo e ad avvertirne i bisogni. Ogni rapporto interpersonale risulta pertanto deformato dalle esigenze del Sé narcisistico, cosicché la fisiologica funzione di creare legami è assente; scrive infatti la McWilliams:
“Il costo più pesante di un orientamento narcisistico è l’arresto dello sviluppo della capacità di amare”.
Infelice e bisognoso di aiuto è spesso chi si lega a un narcisista. Ma, per tornare al mito, infelice è anche il destino di (ogni) Narciso, che perde la vita perché ama perdutamente solo il proprio riflesso.